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08/07/2019
di Cosimo Vestito

Nick Morley (IAS): «Le tecnologie di verifica sono indispensabili per il ROI»

Secondo il Managing Director, EMEA di Integral Ad Science, le misurazioni sono indispensabili per calcolare l'effettivo ritorno sugli investimenti pubblicitari delle aziende

Nel corso degli anni, il mercato della pubblicità digitale è cresciuto esponenzialmente; ciò ha comportato un'intensa proliferazione di realtà e intermediari: il risultato è un ecosistema intricato, inefficiente e poco trasparente, in cui è difficile orientarsi. Ne è convinto Nick Morley, Managing Director, EMEA di Integral Ad Science (IAS), intervistato a margine dello IAS Rooftop Roundtable di mercoledì 26 giugno, evento organizzato per permettere a centri media, marchi ed editori di formarsi e confrontarsi su viewability, sicurezza del marchio online, misurazioni e verifiche. Sono proprio questi, infatti, gli ambiti in cui la società tecnologica è specializzata, con un'offerta di servizi mirata a ridurre la complessità dell'industria e ad assicurare agli operatori che la compravendita di spazi stia avvenendo sempre secondo i più alti standard. Perché le tecnologie di verifica sono così importanti per il mercato della pubblicità digitale? «Che tu sia un marketer d’azienda o d’agenzia, hai bisogno di capire se il tuo investimento media è stato fatto in maniera oculata e sicura, e se quindi sta generando un ritorno. Se, approssimativamente, metà dei tuoi annunci non è viewable per un minimo periodo di tempo, se gli annunci viewable sono visualizzati da robot e i rimanenti sono erogati in ambienti non sicuri, con associazioni inserzione-contenuto inappropriate, l’immagine e la reputazione del marchio ne risentiranno gravemente. Il tema della verifica ha un’importanza cruciale perché gli operatori vogliono essere certi dei ritorni, e perché, evidentemente, le frodi non fanno che erodere potenziali entrate. Volendo riportare queste considerazioni su un piano più generale, ci troviamo in una fase economica in cui ogni settore sta passando al vaglio i propri investimenti e le persone sono molto più attente alle spese. Per questo tutti vogliono assicurarsi che le proprie finanze siano solide». In che modo le tecnologie di verifica possono aiutare a ripristinare un rapporto marchio-agenzia sostenibile? «Alcune aziende si domandano se l’operato delle agenzie sia guidato dalle motivazioni giuste. La realtà è che l’industria della pubblicità digitale è incredibilmente complessa. Da una parte ci sono gli inserzionisti e dall’altra gli editori, con i contenuti e il pubblico che quegli stessi inserzionisti vogliono raggiungere, ma tra di loro c’è tutto un ecosistema molto complicato. Ad ogni modo, le agenzie stanno cercando di ottenere i migliori ritorni per i propri clienti in un contesto in cui è difficile muoversi. Tuttavia, l’esistenza di uno strato di dati e verifica che consenta a investitori e marchi di connettersi efficientemente con editori e altri fornitori di audience genererà un ambiente affidabile e trasparente, dove i buoni attori potranno essere distinti da quelli cattivi». A fronte di una crescente internalizzazione delle attività pubblicitarie, state osservando un maggior numero di marchi assumersi direttamente la responsabilità delle verifiche? «Le aziende cercano di spendere i loro denari nella maniera più efficiente. Il digitale è cresciuto tantissimo negli ultimi 10-15 anni e ora rappresenta il canale media dominante, in molti mercati è addirittura diventato più importante della tv. Ma all’interno di questo processo di espansione, probabilmente una buona parte della spesa pubblicitaria non era efficiente. Per queste ragioni, solo attraverso un maggiore impiego delle tecnologie di verifica e misurazione quei marchi possono avere più controllo sulla spesa. Non penso che gli inserzionisti intendano necessariamente spendere meno, vogliono solo spendere in maniera efficiente. Se attraverso questi processi di verifica e misurazione scoprono che una porzione degli investimenti è sprecata taglieranno i costi, ma il loro obiettivo ultimo è l’efficienza. Nel frattempo, la complessità del mercato si sta via via riducendo grazie al miglior utilizzo di queste tecnologie. Negli ultimi anni, le aziende hanno siglato accordi diretti con le società di verifica ma non sempre perché volevano portare in-house quelle attività, cosa che è capitata più volte per il programmatic, ad esempio. Alcuni marchi stipulano dei contratti diretti affidando comunque alle loro agenzie di riferimento l’uso di quelle tecnologie. A mio avviso, è una cosa buona perché significa che i marchi assumono una posizione proattiva in questo senso. Ritengo comunque che la maggior parte delle agenzie non giudichi negativamente questo fenomeno, perché esse continuano a essere responsabili per la maggior parte della pianificazione e dell’acquisto di spazi. È solo cambiata la proprietà dei dati e di parte della tecnologia». Cosa ne pensi del processo di consolidamento in atto nell’industria pubblicitaria? «Come ho già detto prima, l’ecosistema digitale è divenuto in pochissimo tempo il canale media dominante. E qualsiasi mercato interessato da uno sviluppo così rapido può diventare confusionario. Col tempo, infatti, il proliferare di realtà ha attratto ingenti capitali che, probabilmente, hanno finanziato troppe società, con il risultato che l’ecosistema è diventato complesso, sovraffollato e poco trasparente in termini di spesa pubblicitaria. Per questo le aziende stanno cercando di lavorare con meno partner. D’altra parte, credo che il processo di consolidamento in atto sia solo una fase di un ciclo economico. Se gli investitori non ottengono un ritorno in una prospettiva temporale ragionevole allora si ritirano, e le aggregazioni ne sono una conseguenza. Credo che, in ultima analisi, questo sia positivo perché ne guadagneremo in fiducia e trasparenza. Otterremo un ecosistema più sano Per quanto ci riguarda, serve un linguaggio comune basato sui dati che colleghi marchi, piattaforme e agenzie. Noi forniamo proprio quel livello di dati e verifiche che permette all’ecosistema di essere più efficiente». Credi che i Chief Financial Officer e i Chief Marketing Officer abbiano bisogno di collaborare di più? «“Metà del denaro che spendo in pubblicità è sprecato, e il guaio è che non so quale metà sia”. Lo ha detto John Wanamaker verso la fine del IXX secolo ed è ancora una frase fondamentale per analizzare i rapporti tra marketing e finanza. Come si fa a stabilire cosa è efficace è cosa no? È un quesito a cui i CMO hanno sempre voluto rispondere, e che nel corso degli anni ha creato diverse frizioni tra loro e i CFO. Ma ora possiamo contare su un uso più diffuso ed efficace delle tecnologie di misurazione, grazie al quale i marketer possono rispondere alla storica domanda. Possono finalmente sapere se è un annuncio è viewable, se ci sono frodi, se le visualizzazioni sono umane o no. Tutti elementi che permettono di rispondere al dilemma fondamentale: “Se faccio questo investimento pubblicitario, quale ritorno ho in termini di vendite e brand uplift?”. Noi aiutiamo gli operatori ad affrontare tutti queste problematiche, così da far tornare CMO e CFO a lavorare insieme armonicamente».

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