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26/04/2017
di Cosimo Vestito

Quantcast al Programmatic Day: «Dati e tecnologie devono essere alla base delle strategie di marketing»

Secondo la General Manager italiana della società, Ilaria Zampori, le aziende dovrebbero utilizzare gli strumenti messi a disposizione del Programmatic all'inizio di ogni pianificazione

Tra i protagonisti della terza edizione del Programmatic Day, Ilaria Zampori, General Manager per l'Italia di Quantcast, ha spiegato come il programmatic sia un valido alleato nel digital advertising non solo per obiettivi di performance ma anche per strategie branding. Nel corso del suo intervento ha analizzato lo stato dell’arte del settore, presentato alcuni studi accademici, esaminato il comportamento del consumatore nel percorso d’acquisto e alla fine illustrato le nuove opportunità per il marketing.

Smart branding in Programmatic, l'opinione di Ilaria Zampori di Quantcast

«Osservando il settore è evidente come internet abbia modificato le strategie di comunicazione. Oggi l’industry percepisce i dati, la tecnologia e in particolare il programmatic come l’ultimo anello della catena. Solo dopo aver deciso la strategia, realizzato la creatività e istruito la media agency, si prende in considerazione l’esperienza delle aziende che si occupano di programmatic, essenzialmente per ottimizzare lo sviluppo della pianificazione media. Un processo che ha portato a stigmatizzare, erroneamente, il programmatic come uno strumento valido solo per il direct response. In generale in questi ultimi anni la tendenza prevalente è di realizzare strategie pubblicitarie sempre più concentrate su obiettivi di performance che illudono gli inserzionisti per un ritorno immediato dei loro investimenti senza però considerarne la mancata efficacia a lungo termine. Un aspetto molto significativo divenuto anche oggetto di importanti studi che, analizzando i risultati a breve e lungo termine di campagne emozionali e dunque branding rispetto a campagne di direct response, hanno mostrato interessanti evidenze per il settore. Considerando, ad esempio, le campagne display con obiettivi di performance sono evidenti le modifiche costanti della pianificazione per evitare il calo delle vendite. Un’ottimizzazione in corsa necessaria proprio perché basate su messaggi pubblicitari razionali che da una parte garantiscono un effetto immediato in termini di vendite ma dall’altra non assicurano un incremento della brand reputation nel tempo. Un gap che può essere colmato solo abbinando attività di branding ad azioni di direct response che puntano su messaggi emozionali capaci di rendere più forte e vincente il brand anche a lungo termine. Una strategia confermata anche dal comportamento del consumatore come evidenzia una ricerca commissionata da Quantcast e condotta da Basis Research, su 2.500 consumatori tra Australia, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, per misurare il ruolo che brand, pubblicità e altri touchpoint giocano nel percorso decisionale del consumatore. Tra i risultati più significativi emerge infatti che i consumatori iniziano il processo di acquisto con una shortlist di brand molto limitata a dimostrazione di quanto sia importante per gli investitori entrare in relazione con l’utente prima ancora che inizi la ricerca attraverso un’efficace campagna branding. Ecco perché oggi la tecnologia, il programmatic e le informazioni preziose che possono fornire non devono essere coinvolti solo alla fine del processo ma sin dall’inizio sfruttando insight e idee che solo i big data possono offrire. Un nuovo sistema che stravolge le regole del gioco, passando dall’utilizzo di dati non più solo in modo retrospettivo ma inserendoli proattivamente all’inizio della pianificazione».

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