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29/07/2016
di Cosimo Vestito

Stefano Cioffi, Webank: «Con il Programmatic possibile coniugare personalizzazione ed ampiezza della reach»

Il responsabile commerciale e marketing del canale digitale della Banca Popolare di Milano descrive l'approccio e la strategia adottati nei confronti dell'acquisto automatizzato, individuando allo stesso tempo la principale sfida affrontata (con successo) dall'azienda: la costituzione di un team interno dedicato

Un approccio tutto data-driven quello di Webank, il canale digitale della Banca Popolare di Milano. Che dimostra di saper utilizzare con abilmente gli strumenti più sofisticati ora a disposizione delle aziende per fare marketing online. Solide relazioni con i media, focus sui dati e attenzione alla sicurezza sono solo alcuni dei pilastri su cui si fonda la sua strategia di pubblicità programmatica, messa in campo a trecentosessanta gradi per raggiungere un obiettivo: diventare una banca multicanale integrata, evoluzione fondamentale per restare competitivi in un mercato sempre più competitivo come quello dei servizi finanziari in rete. Ne abbiamo parlato con Stefano Cioffi, Responsabile Commerciale e Marketing di Webank. Qual è l’approccio del suo team al marketing digitale? Per Webank il digitale non rappresenta soltanto il canale privilegiato di comunicazione, finalizzato cioè a sostenere notorietà, considerazione e posizionamento della Marca, ma anche e soprattutto il primario canale di acquisizione prospect e di relazione con la base cliente già acquisita. Pertanto tutta l’attività promozionale è da ritenersi centrale nella strategia di sviluppo di Webank, specie in un mercato affollato e competitivo come quello bancario. In linea generale, in che modo e con quali obiettivi usate il Programmatic? L’approccio di Webank al programmatic advertising è basato su 5 principi cardine:

  1. Partnership media forti: abbiamo costruito relazioni di business forti sia con le principali concessionarie di pubblicità ed i più rilevanti editori italiani, sia partnership con i grandi player internazionali al fine di ottenere piena visibilità sulle audience più qualitative del mercato;
  2. Centralità del dato: il Programmatic buying è uno straordinario strumento di efficienza che esprime massimo potenziale quando abbinato a sistemi di Data-Management. Noi utilizziamo un sistema di data fusion che combina dati di 1°, 2° e 3° parte in grado di fornire una straordinaria intelligence alle campagne in termini di profilazione;
  3. Trasparenza: il programmatic nella nostra visione non ha natura di black-box. Abbiamo piena visibilità sui dettagli delle pianificazioni in termini di editori coinvolti, con spaccato sino al singolo dominio o URL, nonché delle opzioni di targeting selezionate per ciascuno di essi;
  4. Controllo e sicurezza: a tutte le campagne applichiamo stringenti policies di black/white listing a livello di siti ed utilizziamo i sistemi anti-fraud attualmente più avanzati;
  5. Valutazione dei risultati: tutte le campagne in Programmatic sono puntualmente pre-valutate e misurate on-going in termini di KPIs metrici al fine di verificarne costantemente l’efficacia.
Vi avvalete della collaborazione di strutture esterne per il Programmatic Buying? Si, per la gestione di tutte le attività di advertising e marketing digitale abbiamo recentemente scelto di affidarci a Simple Agency, agenzia parte del gruppo Dentsu Aegis Network, indubbiamente first-mover e oggi leader del programmatico sul mercato italiano ed internazionale. Il Programmatic può essere utile anche per campagne di brand, o dà il meglio in relazione a obiettivi di performance? Nella nostra vision non esiste un reale grado di separazione tra campagne di branding e campagne di performance. Tutto è performance, poiché nel territorio digitale tutto è misurabile. Ad esempio quando andiamo a fare campagne con formati e posizionamento ad alto impatto andiamo ovviamente a cercare awareness; tuttavia misuriamo puntualmente quanto questo incremento di notorietà scarichi poi in conversione finale. Ragionare a compartimenti stagni può portare a commettere enormi sbagli: troppe volte ho visto Brand molto maturi e noti avere grandi difficoltà a fare new business e crescita. Ci sono degli aspetti dell’”ecosistema” del programmatic che secondo voi andrebbero cambiati o migliorati? Possiamo raccontare quanto abbiamo già migliorato dopo aver individuato quelle che a nostro avviso erano le debolezze dell’ecosistema. In primo luogo abbiamo lavorato molto sui temi di viewability delle campagne: la media italiana di impression viewable delle campagne digital è attorno al 50%, le nostre campagne girano su tassi superiori all’85%. Questo ci porta sul secondo tema, ossia la qualità delle audience raggiungibili tramite programmatico in Italia. Molti grandi editori hanno infatti visto nel real time bidding e nel programmatico in generale un modo per monetizzare più facilmente la propria inventory pubblicitaria invenduta e quindi spesso meno qualitativa. Per questo abbiamo lavorato con le principali concessionarie italiane per ottenere dei “private deal” che ci garantissero posizionamenti qualitativi e quantitativi di impression predefinite. Tutto questo senza dimenticare il prezzo di acquisto, che è stato frutto di una negoziazione attenta. Di quali tipologie di dati vi avvalete a supporto delle vostre strategie programmatiche? Quali “funzionano” meglio? Come detto abbiamo adottato un approccio di data fusion, dove i cosiddetti dati di prima parte (ossia quelli provenienti dagli owned media e ove possibile dal datawarehouse di Webank) sono stati integrati e fusi a quelli di seconda e terza parte messi a disposizione del nostro partner media. Solo in questo modo possiamo ottenere una audience enrichment che ci consente di fotografare precisamente i nostri potenziali target, e successivamente colpirli con campagne in programmatico minimizzando la dispersione. Questo significa immediatamente più efficienza e soprattutto più efficacia. Come vi state organizzando, internamente, per affrontare le sfide del Programmatic? Il principale challenge è stato quello di organizzare un team digital interno a Webank solido e competente, che vedesse nella collaborazione con l’agenzia la propria naturale estensione. Conduciamo progress settimanali finalizzati ad ottimizzare l’andamento delle campagne, condividendo gran parte dei KPIs business in trasparenza con il partner media. Il segreto è la fiducia senza mai rinunciare alla capacità di delega e controllo. Alla luce dell’attuale scenario della comunicazione online, quali sono oggi le maggiori sfide di marketing per voi e i vostri competitor? Cercare d’evolvere il concetto di banca digitale in banca multicanale integrata. Nel prossimo futuro immaginiamo che sul mercato primeggeranno i brand che meglio di altri avranno interpretato l’evoluzione digitale di cui il programmatic è chiaro esempio. Il web per i clienti è sempre più il touch point principale per raccogliere informazioni, indirizzare e, talvolta, soddisfare i propri bisogni. In quest’ottica la sfida di Webank sarà sempre più quella di mettere l’esperienza quasi ventennale in ambito innovazione e tecnologia al servizio di tutta la banca e dei clienti per facilitare il business ed il dialogo fra le parti. La realizzazione di questa visone passa necessariamente tramite la realizzazione di modelli di comunicazione chiari – trasparenti – immediati e lo sviluppo di percorsi di navigazione digitale dove la user experience è costruita partendo dall’analisi del dato del cliente target e sviluppata, tramite il supporto di tecnologie avanzate e focus group, tenendo ben presente che è essa stessa un elemento fondamentale di dialogo. Che tipo di evoluzione futura vi aspettate per il marketing digitale? Siamo in continua sperimentazione, ma se dovessimo identificare 2 trend ai quali stiamo rivolgendo particolare attenzione direi:
  1. Il segment-of-one: ossia la capacità di utilizzare il programmatico su base dato (mediante l’approccio di data fusion succitato) per creare una molteplicità di micro-segmenti di audience da colpire con messaggi che spiegano un’offerta di prodotti e/o servizi bancari estremamente personalizzati. Non crediamo più di poter crescere in un mercato così competitivo mediante grandi campagne nazionali che comunichino lo stesso messaggio e lo stesso prodotto su un target socio-demografico allargato. In questo senso, grazie al programmatico su base dato, il digitale si trasforma da mezzo di comunicazione di massa ad elevata dispersione a strumento di precisione come il direct marketing ma con i volumi di audience del mass media. Una vera rivoluzione.
  2. Il native advertising: ovvero la capacità di passare dal modello di comunicazione tradizionale, che nel mercato bancario vedeva al centro la comunicazione urbi et orbi dell’offerta di prodotto (ad es. un tasso di remunerazione delle liquidità), ad un modello di distribuzione del contenuto come elemento per diventare realmente rilevanti per i nostri potenziali clienti. Per questa ragione l’anno scorso abbiamo integrato all’interno del nostro website un magazine ricco di contenuti di approfondimento sul mondo bancario e finanziario. L’intento è quello di avvicinare i risparmiatori fornendo loro una risposta pragmatica ai propri bisogni più razionali: previdenza, investimento, risparmio etc… Questi contenuti sono oggetti di costante promozione ed amplificazione, con strumenti di native e social adv, in particolare su mobile, cui è assegnato un budget che definirei rilevante. Credo di poter affermare che questa strategia stia decisamente pagando.
 

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