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14/09/2016
di Programmatic-Italia

Michael Rubenstein, AppNexus: «Liberiamo i dati per realizzare la promessa del programmatic»

Michael Rubenstein, presidente di Appnexus, al Dmexco ha parlato della "Programmable era" e di come una migliore "circolazione" dei dati sia necessaria: «un advertiser non deve essere bloccato in una sola Dsp o Dmp»

"Il Programmatic è morto, il “Programmable” ha preso il sopravvento": E' la sentenza provocatoria emessa qualche tempo fa dal management di AppNexus, una delle maggiori società di ad tech al mondo. Il senso, riassumendo, è questo: il programmatic è una tecnologia obsoleta costruita per un'internet "unidimensionale", ma del tutto insufficiente per l'ecosistema dinamico dei mezzi e dispositivi di oggi, per cui occorre entrare in un'altra dimensione: quella del "programmable", appunto, in cui la sfida per le marche è quella di costruire interazioni coerenti con gli individui muovendosi attraverso un sistema mediatico complesso fatto anche di streaming video e musicale, di chat, dei giochi interattivi, dell’internet of things e della realtà virtuale. Tutto ciò dovrebbe tradursi in una maggiore conversazione con il target, una migliore esperienza del cliente e, in definitiva, inserzionisti più felici. Ma siamo davvero entrando in una nuova era? Sì secondo Michael Rubenstein, presidente di Appnexus, che ha aperto il programma della Debate Hall del Dmexco 2016 in un confronto sul tema che ha coinvolto anche Norm Johnston di Mindshare, Dan Taylor di Google e Ivan Guzenko di SmartyAds. «Il programmatic è nato per risolvere un problema», quello della monetizzazione dell’invenduto, ma «quello che abbiamo davanti è totalmente diverso», ha detto Rubenstein. «Quella che noi chiamiamo “Programmable era” presuppone un approccio completamente differente da qualsiasi cosa abbiamo fatto fino ad ora. La sfida è quella di usare la tecnologia che abbiamo a disposizione per attivare conversazioni Une-to-One con i consumatori». «Tutto questo - ha aggiunto il presidente di Appnexus - è possibile se i creatori di messaggi pubblicitari sono in grado di indirizzare la pubblicità per ora, il luogo e le esigenze personali, attraverso sistemi di apprendimento profondi, basati sui dati. Usare i dati è l’unico modo per arrivare a questo obiettivo, guardando alla pluralità di mezzi, ai miliardi di consumatori e alla grande quantità di brand che competono per raggiungerli». Tra il dire e il fare, tuttavia, ci sono di mezzo i walled garden: molte società - prime tra tutte Google e Facebook - dispongono di un bacino enorme di dati, ma non sono affatto "permeabili" in termini di informazioni restituite alle aziende. Secondo Rubenstein, «Permettere ai dati di circolare tra le varie piattaforme è la grande sfida per realizzare la promessa iniziale del programmatic. Nella Programmable era, un advertiser non deve essere bloccato in una singola Dsp o Dmp. Se chiediamo alle persone del pubblico qui presente se ritengono che il futuro del marketing abbia a che fare con la possibilità di usare i dati per dare vita a conversazioni one-to-one, risponderebbero al 100% di sì. Quindi, dobbiamo uscire dagli steccati, e aiutare le aziende a fare questo». Un ultima battuta è sulla creatività e sul compito delle agenzie pubblicitarie. «Hanno ancora un ruolo fondamentale, ma anche nella creatività i dati possono aiutare a prendere le decisioni migliori, e dobbiamo creare le infrastrutture per metterli a disposizione anche a loro. Sarei stupito se nell’arco dei prossimi 5 anni non ci fossero dei data-specialist all’interno dei team creativi».

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