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17/06/2016
di Alessandra La Rosa

Programmatic Native: ossimoro o combinazione perfetta?

Per l'a.d. di Quantum Native Solutions in Italia, il Programmatic Native incarna la prossima generazione dell’adv digitale: personalizzato, integrato, adatto ai contenuti e basato sui dati. E la chiave del suo successo sta nei Key Brand Attributes

L’avvento del Native ha aperto un nuovo scenario nel campo della pubblicità digitale. Ma cosa vuol dire realmente fare Native Advertising oggi? Lo abbiamo chiesto a Carlo Poss, Amministratore Delegato di Quantum Native Solutions in Italia, società specializzata nel Programmatic Native advertising, che, dopo aver chiarito la definizione di Native, ci ha illustrato come il programmatic sia la nuova leva di sviluppo di questo tipo di formato efficace sia per gli advertiser che per gli editori. Cos’è il Native advertising? È un termine che tendiamo a usare a sproposito? L’uso eccessivo e spesso errato della parola “native” ha creato una certa confusione tra i publisher e i brand. Oggi, qualsiasi pubblicità collocata in-feed tende a essere definita Native, ma in realtà è molto più di questo. Il Native, infatti, aiuta gli editori ad aumentare sensibilmente i ricavi mantenendo al tempo stesso la massima qualità editoriale. Per quanto riguarda i brand, questo tipo di formato offre soluzioni pubblicitarie completamente personalizzabili per generare percentuali di click dalle 10 alle 30 volte maggiori di quelle ottenute attraverso metodi tradizionali. Una pubblicità può essere considerata Native advertising quando il contenuto è contemporaneamente: editorializzato; integrato con il contenuto dell’editore, evitando così di essere percepito dagli utenti come invasivo; e coerente con il sito e il suo target di riferimento. Per questo motivo content discovery e video in-read devono essere differenziati dagli annunci Native che invece puntano a migliorare l’esperienza dell’utente. Se gli annunci Native sono impostati nel modo corretto, creano un flusso naturale fra il contenuto editoriale e il contenuto pubblicitario. In questo caso l’annuncio non viene ideato per ingannare l’utente, ma piuttosto risulta rilevante, coerente e dunque in ultima analisi non invasivo. Cosa può aspettarsi un brand dal Native advertising in confronto agli annunci tradizionali? Come dovrebbe essere integrato nella strategia pubblicitaria? Il Native utilizza un approccio molto diverso rispetto ai formati tradizionali. Al contrario dei banner pubblicitari, infatti, gli annunci Native non sono una destinazione bensì una strada che conduce gli utenti dal sito dell’editore fino al brand. Immagini, video, titoli e descrizioni attentamente selezionati sono un ottimo modo per editorializzare e creare una rilevanza contestuale per ogni elemento che l’inserzionista vuole far “assaporare” al target di riferimento. Il Native advertising punta ad offrire qualità e a rendere l’annuncio accattivante così da far proseguire il viaggio all’utente verso la brand experience. Quantum Native Solutions è specializzata in Programmatic Native advertising. E’ davvero possibile pianificare native in programmatic? Il Programmatic ha introdotto una nuova era nel digital advertising. Realizzare transazioni dematerializzate, acquistare spazi su base d’asta e individuare obiettivi partendo dai big data, questi sono solo alcuni aspetti che hanno trasformato drasticamente le economie dell’ecosistema digitale. Il Programmatic ha in sé un enorme potenziale per il Native advertising perché garantisce la scalabilità dei volumi e l’efficacia operativa che sono mancate a questo formato fino ad oggi. Al contrario di ciò che viene comunemente detto, il “Programmatic Native” non è affatto un ossimoro, bensì una potente combinazione di caratteristiche complementari. La difficoltà sta nell’esecuzione. Dato che i placement Native sono, per loro stessa natura, personalizzati a seconda dei siti e perfettamente integrati, utilizzare una tecnologia programmatica in questo contesto è tutt’altro che semplice. Per questo motivo solo pochissime aziende vivono al 100% di Programmatic Native. Sharethrough e Triplelift si sono posizionati su questo tipo di tecnologia nei mercati del Regno Unito e degli Stati Uniti. In Europa, Quantum Native Solutions è stata la prima – e, per il momento, l’unica – a scommettere sull’alleanza tra Programmatic e Native e visti i tassi di crescita, la nostra scelta è stata corretta e lungimirante. Sempre più editori e brand scelgono il Programmatic Native per poter avere il meglio di entrambi i mondi. A mio parere, il Programmatic Native incarna davvero la prossima generazione dell’advertising digitale: personalizzato, integrato, adatto ai contenuti e basato sui dati. Grazie al Programmatic Native, se usato nel modo corretto, i brand possono offrire contenuti coerenti durante tutto il funnel di vendita, su qualsiasi dispositivo e su tutti i siti più in target. Nasce così un nuovo modello per inserzionisti e agenzie, così come per gli editori. Il Native Programmatic rappresenterà presto dal 40 al 50% del display advertising. Inutile dire che avrà un profondo impatto sui processi e sulle strategie degli inserzionisti. Oltre che ad avere bisogno di una definizione chiara – necessaria per mantenere uno standard alto di qualità – dovremo cambiare il nostro approccio “revisionistico” e adattarci ad un nuovo processo di vendita. In particolare, elementi visivi onirici dovranno essere sostituiti da titoli diretti, da descrizioni, foto e video accattivanti e attentamente selezionati. Essenzialmente, la cura totale dei dettagli di un sito e degli asset dell’inserzionista faranno la vera differenza, in quanto il Native verrà utilizzato per incanalare il pubblico verso i contenuti più rilevanti del brand. A tal proposito, consigliamo sempre ai nostri partner di pensare in termini di KBA piuttosto che KPI. I KBA, o Key Brand Attributes, devono essere considerati al primo posto negli annunci native in quanto precursori dei Key Performance Indicator. “Dai KBA ai KPI”: è questa la formula del successo del Programmatic Native.

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